La “common land“, terra di pascolo comune, era un bene pubblico a disposizione di tutti i contadini nell’Inghilterra del Medioevo. A partire dal XVI secolo, e con un crescendo che culminò tra il 1760 e il 1820, il movimento di “enclosure” sequestrò gran parte di quelle terre a beneficio di proprietari privati. Con due conseguenze rilevanti. Da una parte consentì un aumento di produttività dell’agricoltura, un’accumulazione primitiva di capitale a vantaggio di grandi proprietà terriere. Dall’altra parte si accelerò un impoverimento di masse contadine. Non potendo più accedere alle terre comuni per il pascolo delle loro piccole greggi, molti contadini furono costretti a lasciare i campi e a cercare lavoro in città: Londra, Manchester, Liverpool, York, Glasgow in Scozia, Cardiff nel Galles. Nacque così il primo proletariato industriale. Il fenomeno della “enclosure”, l’appropriazione privata di un bene pubblico all’origine dell’accumulazione capitalistica, è stato ampiamente studiato dagli storici e dagli economisti come uno dei momenti chiave nella Rivoluzione industriale inglese. “Enclosure” letteralmente designava la chiusura: cioè la costruzione di siepi e muri divisori che creavano delle frontiere, delimitando la proprietà privata, al posto di quelli che erano stati degli spazi aperti a tutti.
Un quarto di tutto il traffico di Internet nel Nordamerica è “catturato” da Google
Traffico "catturato" da Google
Internet nacque come una “common land”. Se risaliamo alle origini, era radicata l’idea di un bene pubblico, uno spazio aperto, un moltiplicatore di libertà, un livellatore delle opportunità. Tre protagonisti simbolici ce lo ricordano. Tim Berners-Lee, lo scienziato britannico che fu il principale ideatore del world wide web, la Rete, rifiutò caparbiamente di brevettare la sua invenzione a fini di profitto privato (rifiutò anche di diventare una star, di stare al gioco del celebrity system). Il movimento open source ha favorito la creazione di software e codici informatici aperti all’accesso universale, gratuiti, non imprigionati dentro copyright privati a beneficio di questa o quell’azienda. Wikipedia, l’enciclopedia online, è stata il risultato di uno sforzo collettivo, prevalentemente volontario e gratuito, per diffondere la conoscenza a vantaggio di tutti.
Ogni sera il 40% della banda larga disponibile negli Stati Uniti viene occupato da Netflix
Banda larga consumata da Netflix
Tim Berners-Lee è vivo e vegeto, l’open source e Wikipedia esistono ancora. Ma sono ancora questi tre i soggetti che “definiscono” l’epoca in cui viviamo? Si può dire che la Rete del XXI secolo riflette i loro valori? Oggi si stima che un quarto di tutto il traffico di Internet nel Nordamerica è “catturato” da Google. Un abitante ogni sette del pianeta è su Facebook. Ogni sera il 40% della banda larga disponibile negli Stati Uniti viene occupato da Netflix, leader nel videostraming, che fornisce ai telespettatori film e serie televisive a domicilio, ovviamente a pagamento. le praterie sterminate di Internet sono state oggetto di un’appropriazione, di una “enclosure”. Hannah Kuchler corrispondente del “Financial Times” a San Francisco, la descrive in questi termini che rievocano inconsapevolmente proprio la fine della “common land”:
“Abbiamo gioiosamente consegnato quelle che erano delle risorse comuni ad aziende private sottovalutando l’invasione commerciale delle nostre vite. Invece della piazza cittadina abbiamo Twitter. Invece della biblioteca comunale abbiamo Google. Invece dell’album fotografico di famiglia abbiamo Facebook”.
Jaron Lanier sostiene che le tendenze monopolistiche dell’economia digitale rafforzano le strutture del potere capitalistico anziché rimetterle in questione. Astra Taylor denuncia il fatto che viviamo in un mondo “dove tutto ci è diventato accessibile, individualmente, a patto però che accettiamo di passare attraverso i grandi gruppi che controllano la Rete”. Evgenij Morozov ammonisce che le tecnologie digitali non sono di per sé progressiste o reazionarie, libertarie o autoritarie: tutti possono usarle, coloro che combattono le dittature o quelli che sorvegliano i cittadini nei regimi dittatoriali.
Un abitante ogni sette del pianeta è su Facebook
Popolazione mondiale su Facebook
Un vezzo dell’élite intellettuali, che s’innamorano delle innovazioni tanto più quando non le capiscono, è il feticismo delle tecnologie. Tanti commentatori occidentali si sono innamorati della “rivoluzione fatta da Twitter e Facebook”, inneggiando alla “primavera” del Cairo come se fosse stata una felice creatura generata in laboratorio dalla Silicon Valley, con tanti social network e una spruzzatina di valori universali della Rivoluzione francese. Salvo poi accorgersi che gli stessi social network possono essere indifferentemente usati a scopi di spionaggio, sorveglianza, repressione. Le tecnologie sono sempre state così. La stampa di Gutenberg servì a diffondere l’istruzione, ma anche a divulgare milioni di copie di Mein Kampf, autore Adolf Hitler, o dell’opera omnia dei tre Kim, i dittatori sanguinari della Corea del Nord. L’invenzione del telegrafo aiutò Lenin a diffondere il Verbo della Rivoluzione bolscevica, ma sapevano usarlo anche i servizi segreti dello zar. La radio la usò molto abilmente Franklin Roosevelt per propagandare il suo New Deal progressista, ma la padroneggiava anche Mussolini.
Bibliografia
Rete padrona, Federico Rampini, Feltrinelli 2015