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La televisione mantiene alto il valore dei suoi annunci ed è leader nelle vendite anche se, a onor del vero, i consumatori di fatto li ignorano. Cosa succede agli inserzionisti? Questa è la domanda che potrebbe porsi chiunque guardando i risultati degli ultimi studi ed analisi sul consumo dei media. Nonostante la televisione sia in crisi, e le ricerche non smettono di ripeterlo, gli inserzionisti non rinunciano a questa ed in certo modo, sta vivendo un periodo buono per  gli investimenti pubblicitari.

Questo paradosso si è presentato chiaro negli ultimi “upfronts” negli Stati Uniti, quando le catene televisive presentarono agli inserzionisti le programmazioni per l’anno seguente e si conclusero i più proficui contratti pubblicitari. L’upfronts è  uno dei momenti decisivi per l’industria televisiva – anche se funziona per gli USA, la sua influenza va molto oltre: quello che si vende bene lì segnerà il passo nel resto del mondo – però gli ultimi tempi hanno visto comparire contenuti che rubavano alla televisione il suo peso assoluto. Il boom di internet e dei contenuti “on demand” è esploso nel pubblico e le  ha rubato il trono esclusivo. E di fatto non dobbiamo dimenticarci che, in certi gruppi demografici, la televisione già si vede molto poco.

Il bilancio degli ultimi incontri tra televisioni ed inserzionisti è sorprendente, (i dati sono raccolti da Warc). Anche se le televisioni ci danno dati molto peggiori degli anni precedenti, gli inserzionisti non sembrano preoccuparsene. Il rating dell’audience (18/49 anni), negli Stati Uniti è sceso di un 11%, con picchi ancor più elevati in certi programmi che sono la motrice di alcuni canali (programmi e serie che hanno registrato un calo dal 15 al 19%). Nonostante tutto questo le reti televisive sono riuscite a fare buone vendite.

Le catene televisive, a loro difesa, sostengono che i giovani guardano i loro contenuti su altri spazi.  Sono passati ad altri schermi ma continuano a vedere i contenuti proposti dalle TV. Ed il problema sta nel fatto che i sistemi di misurazione delle televisioni non  li registrano.

In più ricordano che continuano ad essere quelli che offrono la maggior quantità di pubblicità. In un direttivo si sostiene chiaramente: ”la quantità di minuti dedicata agli annunci pubblicitari è molto maggiore di quella di Youtube e Facebook in video”.

Troppi annunci

E questo svela un altro paradosso che, visto dal di fuori, sembra incomprensibile. Perché certamente ci risulta molto difficile immaginare che le catene di mezzo mondo dicano agli inserzionisti “noi continuano a dare molti più annunci di quelli che potete vedere in video”. 

Questo, oltre ad essere frustrante per lo spettatore è ben  poco utile all’inserzionista. Il consumatore non assimila questi annunci, e le pubblicità per la quale le ditte hanno pagato un sacco di soldi si trasformano in semplice rumore di sottofondo.

Di fatto, gli spazi pubblicitari sono troppo lunghi per risultare efficaci. La memoria a breve, come ha concluso un recente studio, non va indietro oltre i 10 secondi, per cui inviare agli utenti una valanga di messaggi (lo studio partiva da una pausa di 7 minuti) non ha senso. Troppe informazione, che saturano la memoria a breve, fanno si che sia molto più difficile che messaggi entrino nella memoria a lungo termine.

Se a questo aggiungiamo altri dati vediamo che le cose non funzionano per niente: non solo i consumatori non ricordano gli annunci ma, in realtà, neppure li guardano. I consumatori vedono solo 2,8% di quello che gli viene proposto.

Aldo Ciana

La noia uccide

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